“I sogni son desideri”, recitava un vecchio adagio. Desideri di felicità, ambizioni di crescita, auspici di cambiamento. Paradigma delle aspirazioni – più o meno realizzabili – dell’animo umano, miraggi allucinatori o concreti propositi, i sogni ad occhi aperti hanno il grandissimo merito di rendere la vita dell’essere umano degna di essere vissuta.
Ma esiste anche un altro immaginario onirico, quello notturno, che necessita del sonno ristoratore per palesarsi. E sarà perché il sogno – in questa seconda accezione di significato – rimane un universo misterioso, linea di confine tra mondo terreno e aldilà, ponte tra passato e futuro, o perché ciò che sfugge al controllo della ragione ha il fascino segreto dell’arcano, ma sta di fatto che la dimensione onirica ha svolto un ruolo importantissimo in tutte le culture. E non c’è civiltà antica che non abbia cercato la chiave di interpretazione dei messaggi divini che si riteneva fossero celati anche nelle più banali visioni notturne: da Gilgamesh a Giuseppe, dagli eroi iliaci ai sacerdoti del templi di Asclepio, per giungere ai sogni premonitori di Ponzio Pilato: millenni di storia a confronto sul campo minato dell’oniromanzia.
Bisusu. Non desta quindi sorpresa che un’isola così conservativa come la nostra, abbia riservato alla linea femminile della società il compito di interpretare – fin quasi ai giorni nostri – i bisusu notturni, quelli fatti ad occhi chiusi. E sebbene le bithiae contemporanee non abbiano più le pupille doppie e non ricorrano a rimedi pseudo – medicali per indurre il sonno rivelatore, esse sono comunque tesoriere di un sapere antico, tramandato oralmente di generazione in generazione.
Analogia. Ma quale la ratio di tale divinazione? Difficile, in realtà, trovare un filo conduttore, una linea guida generale se non quello dell’analogia o del contrasto. Alla prima categoria possono essere riferiti tutti quei sogni che vanno letti quasi letteralmente, in quanto di per se stessi segni di negatività: l’acqua stagnante, putrida o anche solo poco limpida (s’acua trua), sarà indizio certo di tribulliasa più o meno gravi, a seconda del grado di sporcizia del liquido. Al contrario s’acua currenti, sarà segno di belle novità, spesso di nascite, in nome della sua valenza salvifica e rigeneratrice.
Contrasto. Per contrasto, quasi con valore apotropaico, vengono invece interpretate tutte quelle visioni oniriche cariche di negatività: la morte di una persona ne indicherà paradossalmente l’allungamento della vita; così pure la bara che contiene un cadavere, mentre il feretro vuoto designerà prossima dipartita di un conoscente o di una persona cara.
Una categoria a se stante è invece quella rappresentata dal cibo, indizio certo di sventure e difficoltà: così sognare la carne (“unu schidoi de pezza arrostendi con meda brasci”) garantirà una giornata di intensa fatica e continue difficoltà, mentre su forru ‘e pai annuncia morte e tribulliasa, proprio come sa matta ‘e figu, o i drucisi.
C’è però un altro aspetto singolare del vedere in sogno il pane o s’ollu ‘e obia. I cari defunti (is animasa) invierebbero attraverso tali bisusu richiesta di preghiere per alleviare le pene del purgatorio. Quale simbolo più del pane o dell’olio rappresenterebbe meglio tale necessità, in una società povera e contadina, come fu la nostra fino a pochi decenni or sono, e in cui riecheggia ancor oggi lo stretto legame tra pai e aldilà in quel voto ancestrale di amore e comunione con i cari estinti che sono is paisceddasa?
Perché, a ben guardare, i bisusu, per un’isola dalla millenaria tradizione, hanno poco a che a fare con la psicanalisi e la rappresentazione dell’inconscio e sono altresì unico punto di contatto della vita con il mistero della morte.