Il Martire San Sperate.

Fig. 2. Particolare di fig. 1

 

Il martire scillitano L’atavica nemica di Roma, Cartagine, fu teatro, all’alba del regno di Commodo, il 17 luglio del 180 d.C., della prima persecuzione documentata della Chiesa africana, nella quale furono giustiziati i celebri martiri scillitani, tra cui spiccava per autorevolezza e prestigio Speratus. La devozione per questi santi fu tale che, non solo sulla loro tomba venne eretta una basilica (in cui Sant’Agostino, all’inizio del V secolo, pronunciò una delle prediche da lui composte in loro onore), ma si scatenò anche, in epoca medievale, una vera e propria corsa alle reliquie, che vide protagoniste la Spagna e la Francia, ed infine l’Italia con Roma, dove, nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, viene ancora celebrata una messa in loro onore, il 17 luglio.

Un martire sardo? Il 17 luglio è peraltro una data nodida e assai importante anche per la nostra comunità, che celebra solennemente il martirio del suo eponimo patrono, quel San Sperate che presenta molti, forse troppi elementi in comune con l’archimartyr della Chiesa d’Africa, per pensare a semplici coincidenze. Secondo la credenza locale egli sarebbe, però, un eroe della Fede oriundo del paese, che divenuto condottiero dell’esercito romano, si sarebbe distinto nella difesa della religione ufficiale dell’impero; convertitosi al cristianesimo, si sarebbe poi dedicato ad un’instancabile attività apostolica che gli sarebbe costata la condanna a morte mediante decapitazione, condivisa con un’altra presunta martire locale, Santa Prisca, durante le persecuzioni di Diocleziano, all’inizio del IV secolo. Infine, stando sempre alla narrazione tradizionale, nel luogo in cui i compaesani decisero di seppellire i due santi, il vescovo di Cagliari Brumasio avrebbe fatto edificare una chiesa, in cui sarebbero state raccolte anche le reliquie di molti altri martyres.

Un testimone della Fede africano? Nessun documento attendibile suffraga, tuttavia, questa versione: la sua venerazione nell’isola risale probabilmente al VI secolo, quando fu introdotta, assieme alle reliquie, dal clero africano esiliato in Sardegna dal re vandalo ariano Trasamondo. La presenza dei prelati africani nell’isola fu contraddistinta da un’intensa attività apostolica, caratterizzata anche dalla salvaguardia delle reliquie dei santi più venerati, da Sant’Agostino a Santa Restituta, trasferite a Carales per essere sottratte al rischio di eventuali profanazioni ad opera dei vandali. Benché non ci siano prove certe di questa traslazione, una serie di elementi spingono con decisione in questa direzione, a partire dalla data del martirio (per entrambi il 17 luglio) e dal vescovo che ospitò gli esuli africani, Brumasio di Cagliari, il medesimo citato nell’iscrizione che ricorda San Sperate, ritrovata in occasione degli scavi seicenteschi nei ruderi dell’antica chiesa sorta sulla tomba del santo e a lui dedicata .

L’antica chiesa paleocristiana Sfortunatamente tutto ciò che conosciamo di questa ecclesia paleocristiana, deriva dai non sempre attendibili resoconti delle esplorazioni volute dall’arcivescovo di Cagliari Francesco D’Esquivel, tenutesi a San Sperate tra il 25 aprile e il 3 maggio del 1615. Ad eccezione infatti di un cassone rivestito di malta di calce, che la tradizione vuole fosse il sepolcro del santo, non è rimasto nulla di visibile di quanto emerse da quell’indagine: l’edificazione della nuova chiesa in onore di Sperate obliterò interamente i resti del precedente edificio, mentre l’epigrafe che ricordava l’arrivo delle reliquie del martire e dei suoi compagni ad opera dell’episcopus Brumasius, è andata perduta. Fra le relazioni di quegli scavi, particolarmente interessanti risultano quelle composte dal frate cappuccino Serafino Esquirro, che descrive il paese ricco di vestigia archeologiche, e tra queste annovera i ruderi di una chiesa intitolata a San Sperate della quale rimanevano ormai solo alcuni resti. Quanto affermato dall’Equirro e le scarse evidenze archeologiche, consentono quindi di dedurre l’esistenza a San Sperate di una ecclesia paleocristiana formata da un’aula rettangolare con cappella maggiore quadrata, presbiterio semicircolare e cappella laterale, dotata di un mosaico policromo, che rinviano ad un’età compresa tra fine V e inizi VI secolo, come la basilica di San Saturnino a Cagliari. Essa era ubicata in una zona marginale rispetto all’abitato e insisteva su un’area cimiteriale, che potrebbe far pensare a forme di religiosità di tipo ctonio-funerario. Tuttavia la presenza di resti murari probabilmente pertinenti all’abside di un calidarium ed ancora visibili all’esterno della chiesa attuale, lascerebbe ipotizzare il riadattamento di un edificio termale di una villa rustica, una delle modalità più diffuse di edilizia religiosa rurale a partire dal V secolo.

Martire eponimo Sarà stata la presenza del martire, o per lo meno di una chiesa a lui intitolata, a determinare il cambiamento, in un arco di tempo compreso tra il VII e il XIII secolo, del toponimo dell’abitato in questione in San Sperate, dopo che per gran parte dell’epoca romana fu probabilmente quello di Civitas Valeria. Nei secoli successivi la devozione in onore del santo, subì un forte rallentamento a vantaggio di altri culti come quello per Santa Lucia e San Giovanni, presenti significativamente, nell’abitato di San Sperate, con due chiese loro intitolate: con il venir meno della venerazione per il martire, in un’epoca imprecisata, anche l’ecclesia fu abbandonata e ridotta in rovina, e ben presto si perse il ricordo della sua primitiva funzione, nonché dell’origine del nome dell’insediamento stesso.

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