San Sperate è così: ti lascia sempre qualcosa da ricordare.

San Sperate è così: ti lascia sempre qualcosa da ricordare.

 

Talvolta è il leggero profumo della menta che riveste (come un tappeto di seta) le strade battute dal Santo, ad inebriarti i sensi, mentre i colori dell’iride che si affacciano in ogni via addobbata a festa, rivestono gli occhi di stupore.

Talvolta la mimesi della realtà vive con meravigliosa concretezza più nel ricordo che nel suo dispiegarsi nel presente, più nell’accennare che nella puntuale rappresentazione di ciò che fu.

San Sperate è così: mimesi e paradigma di se stesso ad un tempo.

Non si dimentica di sé e non permette che altri lo facciano per lui.

Museo a cielo aperto di cui esso stesso è monumentum, preserva intatta la sua versatilità, la consapevolezza cioè che la cultura e la coltura (delle pesche) si nutrono alle stesse fonti, si dissetano alle medesime sorgenti. Non c’è antitesi né contrasto: non era forse, per i latini, il cultor tanto il contadino che il cultore del rispetto in senso lato? La cultura non era forse la coltivazione della terra, quanto la cura, l’educazione dell’animo? Ed il cultus non si riferiva tanto alla produzione dei frutti che alla coltivazione dell’ingegno e dello spirito religioso? Memore delle sue radici, Santu Sparau, resta ligio al suo saper essere senza reticenze cultus animi et agrorum, specchio nello specchio che non si limita a riflettere l’hinc et nunc, ma ne perpetua all’infinito il ricordo.

Perché San Sperate è così: non dimentica e non si fa dimenticare.