Come nel pinax ritrovato nel tempio di Persefone a Locri – che raffigura la dea intenta a sistemare il corredo nella cassa-armadio – scrigno del più prezioso dei tesori era, per Fida Serra (classe 1883), sa cascia, che faceva bella mostra di sé nella lolla della sua abitazione. Lunga circa 180 cm e alta 120, mostrava la tradizionale decorazione con le pavoncelle affrontate e custodiva sa prenda per eccellenza: l’abito da sposa. Neppure ai figli o ai nipoti era concesso aprirla e toccarne il contenuto, che andava preservato da qualsiasi minaccia, da ogni pericolo perché il suo compito non era terminato.
Su bistiri de sa coia non si trasmetteva di madre in figlia, non era bene ereditabile, era del tutto personale ed assolveva – oltre a quella nuziale – ad un’altra funzione altrettanto simbolica e sacrale: accompagnare la defunta nel sonno eterno. “Po mi interrai ollu su bistiri de sa coia” era solita ripetere alla figlia Prisca e a quanti le erano vicini. “No du fadiada bi a nisciunusu” conferma Gina Podda “ma deu dappu biu sa di chi è motta, candu appu aggiudau a da bistì”. La composizione del morto acquistava a San Sperate il sapore antico della vestizione. L’abito prescelto era conservato con cura e fatto indossare al defunto dalle persone più vicine e più esperte, come Gina Podda nel caso di Fida. “Fiada diversu meda de cussu chi anti torrau a fai po is prucessioisi” sostengono, convinte, Prisca e Gina “is caborisi fenta prusu scurusu”. Ma soprattutto non esisteva un solo abito tradizionale, ma diversi, a seconda dell’occasione e dello status sociale, riconoscibile non solo dai tessuti più o meno raffinati, ma anche dai gioielli che lo accompagnavano.
Quando Fida morì nel maggio del 1976 a 93 anni, portò con sé la veste tanto preziosa. E come lei fecero tante altre sparadese, decretando la precoce, se pur involontaria, scomparsa dell’abito tradizionale.
Eppure, ne siamo convinti, tanti di noi conservano, nel segreto delle proprie dimore, testimonianze di quei magnifichi abiti: apriamo dunque gli scrigni della memoria, frughiamo fra is casciasa dei s’arobba e evitiamo che un patrimonio così importante sia segnato dall’eterna damnatio memoriae. Ogni foto, ogni aneddoto, ogni gioiello ereditato vale due volte. Come ricordo affettivo, che custodiremo gelosamente nel nostro cuore e come documento storico, che invece abbiamo il dovere di rendere pubblico. Tutti noi abbiamo avuto una Fida Serra in famiglia. E come lei, anche le “nostre” Fida Serra, oggi sarebbero orgogliose di mostrare i loro abiti a tutti noi e Orticedrus altrettanto lieto di ospitarne le storie.
Se Orticedrus ha una missione, è proprio questa: mantenere in vita ciò che è moribondo e riesumare ciò che troppo frettolosamente abbiamo sotterrato nell’oblio. Ma non può farlo senza di voi, cari lettori.