Solo chi è stato prigioniero, comprende la libertà.

Un nonno comunista, l’altro missino.
Il 25 Aprile non sarà mai un giorno come gli altri.
Non a casa mia. Non per la mia terra. La contraddizione della storia, che deve assolvere i buoni e condannare i rei, è stigmatizzata da questa ricorrenza in cui il sangue dei martiri si mescola a quello dei carnefici.
“Di che storia parli? Quella che hai studiato a scuola?”
“Certo, nonno, perché ne esiste un’altra?”
“Senza dubbio: quella vissuta. Io ho fatto quella che ora tu studi, tu farai quella che studieranno i tuoi figli. E saranno due cose molto diverse. A diciott’anni è tutto bianco o nero. Invecchiando si vedono anche i grigi.”
“Ma nonno, è la liberazione dal fascismo, dalla dittatura. È la conquista della libertà.”
“Quindi tu sei libera”.
“Certo!”
“E sai cos’è la libertà, vero?”
“Sì, tutti lo sanno”.
“No, non tutti. Solo chi è stato prigioniero, comprende la libertà.”

Nessuno – in Italia – è ancora prigioniero quanto la Sardegna. Chi, dunque, più dei sardi, può avvertire l’attualità opprimente di questo giorno?
Monito della coscienza a non cedere alla rassegnazione. Invito a reagire, non solo a resistere: il 25 Aprile in Sardegna è festa di prigionia, non di libertà conquistata.