Su sabatteri

Su sabatteri

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“Le scarpe parlano. E dicono tanto, non solo dei piedi e della postura di chi le possiede. Raccontano l’anima. Mio padre conosceva le scarpe e le persone. È uno dei segreti del mestiere”.

Tuo padre era ciabattino? “No, sabatteri. C’è una bella differenza”.

Sì, c’è una grande differenza. La stessa che intercorre fra l’arte e l’artigianato. E ad Ignazio Tolu questo non sfugge per nulla: “Questo mestiere è stata la mia rinascita. C’è una parte di me in ogni suola rifatta, in ogni borsa rimessa a nuovo”.

E nel piccolo laboratorio che ci ospita l’impronta dell’artista si dipana ad ogni angolo. Perché fra l’odore acre dei lucidi, le suole e i chiodi si respira tradizione. “Ho iniziato a fare l’apprendista a 6 anni. Ma non era solo un gioco, era il modo migliore per ottenere l’attenzione di mio padre”. Figlio d’arte, Ignazio. Suo padre, Benedetto, a 10 anni già era praticante di Mondo Caria, poi andò a Decimomannu da un maestro ciabattino e quindi aprì bottega a San Sperate. “A 8 anni ho imparato a fare lo spago con le zuddas (setole di maiale ndr), a 11 anni ero in grado di realizzare una suola: una vera impresa per me! Ma non sono mai riuscito a battere mio padre in velocità, in quello era insuperabile. Ho collaborato con lui fino alla fine”. Un velo di commozione affiora nel ricordare quegli anni trascorsi gomito a gomito con Benedetto, mentore e maestro. “Dopo la morte di mio padre, nel 1997, c’è stato il buio. Tutto in salita. Ho attraversato un periodo difficile. Poi il ritorno alla vita, qui fra queste quattro mura”.

Un giovane di 37 anni che fa un mestiere ormai desueto, è un caso più unico che raro. Ti senti un’eccezione? “Non proprio. Sono solo un ragazzo che ha avuto la fortuna di appassionarsi a qualcosa e che ne ha fatto un mestiere. Da me vengono tanti clienti dai paesi vicini, Ussana, Dolianova, perché ormai siamo una specie in estinzione. E’ l’estate la stagione di maggior lavoro: sandali, sabout, decolté: le donne comprano in base all’estetica, non alla qualità”.

Non ci sono più le scarpe di una volta? “Ma scherzi? Quello che circola oggi è per lo più cartone mascherato da pelle. Una scarpa rifatta da me dura anni, non mesi. E può correggere una postura sbagliata. Un tempo erano i ciabattini a realizzare le scarpe con plantari correttivi, ma oggi le leggi non lo permettono più, purtroppo”.

Chi è il tuo cliente tipo? “Le donne per risistemare i tacchi e le borse, sono fra i migliori clienti. Ma non mancano neanche uomini, sia per le scarpe che per le cinture”.

Nella società del consumismo sfrenato, dell’usa e getta, è possibile sbarcare il lunario con un mestiere così controcorrente? “Non è facile, questo è certo. Però la crisi di questi ultimi anni ha costretto la gente a rivedere le proprie abitudini: scarpe e borse stipate negli armadi da anni, riesumate e portate a rifarsi il trucco..Prezzi modici e serietà sono un ottimo biglietto da visita, anche oggi.”

E quella volta che..? “Aneddoti ce ne sarebbero tanti. Ma uno in particolare mi piace ricordare. Quando Pinuccio Sciola portava le scarpe a mio padre, usciva da sa buttega rigorosamente scalzo. E’ un’immagine che ho stampata nella mia mente.”

Non hai mai pensato di aprire un Presto Service? “Me lo hanno proposto. Qualche anno fa una società londinese mi ha chiesto addirittura di vendergli il marchio per la realizzazione di scarpette da bambino. Mi sarei sistemato, ma avrei perso la mia autonomia. Se questo fosse per me solo un lavoro, avrei ceduto. Ma io ho un sogno. E non è diventare ricco.” Qual è questo sogno? “Fare scuola. Trasmettere ai giovani questa passione, insegnare loro non solo un mestiere, ma uno stile di vita. Come mio padre ha fatto con me. Lui capiva le persone, le ascoltava. Sistemare le scarpe veniva dopo.”

E tu capisci le persone? “Le scarpe parlano. Ed io le ascolto. Altrimenti non sarei un sabatteri.”

No, sarebbe “solo” un ciabattino.