Santa Barbara e la sua chiesa


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Barbara era una vergine bellissima, oggetto del desiderio di tanti pretendenti. Il padre Dioscuro, per preservarne la purezza, fece rinchiudere la figlia in una torre costruita appositamente per lei. Ma questo non impedì alla fanciulla di consacrarsi a Dio. Prima di entrare nel torrione, infatti, si immerse in una piscina d’acqua per tre volte, ripetendo: Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E, in onore della Santissima Trinità, fece realizzare tre finestre nel mastio che la doveva custodire. Venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, il padre decise di ucciderla. Fuggita miracolosamente fra le pareti della torre e nuovamente catturata, fu condotta dal magistrato, il prefetto Marciano, che cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito: ai rifiuti della giovane fecero seguito tormenti di ogni genere, ma durante una visione notturna fu completamente risanata. Gli eventi miracolosi si ripeterono a ogni supplizio, finché, il prefetto la condannò alla decollatio, eseguita dal padre stesso. La punizione divina, però, non si fece attendere e un fuoco sceso dal cielo bruciò il genitore degenere, di cui non rimase neppure la cenere.
Fin qui, una delle versioni – molto romanzate – della Passio della Santa, il cui culto ebbe una vastissima diffusione nell’orbe cristiano, soprattutto in ambito bizantino, nella nobile veste di protettrice contro la morte improvvisa. Divenne perciò patrona di tutti i mestieri particolarmente esposti al rischio di morte subitanea: artificieri, artiglieri, carpentieri, minatori e vigili del fuoco. Tanto potente era la sua intercessione che in età moderna, nelle navi da guerra, il deposito delle munizioni prese il nome di Santa Barbara.
Il culto in Sardegna. La venerazione per la vergine martire nell’Isola risale all’XI secolo, ad opera dei monaci Basiliani, che furono fra gli artefici della definitiva diffusione del vangelo in Barbagia. Cenobiti e seguaci di San Basilio, i basiliani realizzarono i loro conventi in corrispondenza di centri d’antico culto pagano, riproponendo spesso lo stesso sistema di celle (muristenes o cumbessias), come negli antichi santuari nuragici di Santa Cristina di Paulilatino o Santa Vittoria di Serri. Dal punto di visto liturgico riproposero i riti della Chiesa e intitolarono gli edifici sacri ai santi del calendario bizantino: San Salvatore a Cabras, Villamar e Nuoro, la Madonna d’Itria (Odigitria o del Buon Cammino), la Vergine Assunta (dormiente), la Madonna del Carmelo, i Profeti Elia ed Enoc, gli apostoli Andrea e Giacomo e, naturalmente, San Basilio, San Giovanni Battista, Santa Reparata, Santa Sofia (Suia), e Santa Barbara.
San Sperate. Alcune di queste intitolazioni di stampo orientale si ritrovano anche nel nostro paese. Secondo le memorie del parroco Lorenzo Esquirro, infatti, nel 1778 a San Sperate, erano attive le chiese di San Sperate, San Giovanni, Santa Lucia, Sant’Antonio, Sant’Andrea, San Sebastiano e Santa Barbara, già menzionate, peraltro, nel decreto dell’arcivescovo di Cagliari del 1599, cui si aggiungono Sant’Elena e Santa Suia, ricordate nel 1781 nel resoconto della visita pastorale dell’arcivescovo Melano. L’ubicazione di alcuni di questi templi, ormai scomparsi, non è certa, benché attraverso l’inventario dell’archivio parrocchiale del 1840 si apprenda che Sant’Antonio era situato a nord del Rio Argiolas, mentre Sant’Andrea a oriente dello stesso corso d’acqua e la chiesa di Santa Barbara prospiciente ai terreni del marchese Cadello.
Sipont. L‘Unione Sarda del 16 ottobre 1979 ricorda l’antica chiesa di Santa Barbara, crollata nel 1890, che diverse fonti d’archivio associano al paese scomparso di Sipont, sito in corrispondenza del Riu Ponti Becciu. Sipont – noto anche nelle varianti Siponti e Seponti – era esistente certamente nel 1362 (contava circa 59 famiglie), benché risulti disabitato perlomeno dal 1492. Da tutte le testimonianze a nostra disposizione, si può evincere che il villaggio è sempre accostato a San Sperate e, negli atti di infeudazione, Santa Barbara è indicata come sua parrocchiale.
Santa Barbara. L’antica parrocchiale di Sipont sembra rievocare, nell’intitolatura alla martire Barbara, un retaggio di culti bizantini giunti nell’isola in momenti diversi. Allo stato attuale della ricerca non possiamo affermare con certezza un rapporto diretto nell’edificazione della chiesa con i monaci basiliani, ma certamente è innegabile una forte presenza di culti orientali a San Sperate e nei centri vicinori.
Santa Barbara non seguì la sorte del villaggio che la ospitava se, nel 1778, risulta ancora consacrata e, nel 1840, fra i terreni ceduti “a concorso” (in affitto) secondo il decreto parrocchiale, erano indicati anche quelli della chiesa in questione. È questa l’ultima notizia sulla vita del tempio. Nel 1890 giunse, infatti, l’atto finale con il crollo dell’intero edificio, e dell’antica chiesa rimasero solo pochi ruderi.
La ricostruzione Ma l’oblio non si abbatté né sulla santa né sul suo culto. A novant’anni dalla sua distruzione, dopo diversi tentavi da parte della popolazione e dei parroci che si susseguirono a San Sperate, nel 1980 la nuova Santa Barbara venne infine alla luce. Fu Don Luigi Cherchi – su delega del Vicario generale Monsignor Tiddia – a benedire la posa della prima pietra. Da allora, la prima domenica di giugno, una processione di fedeli parte dalla chiesa parrocchiale scortando il simulacro della martire verso la nuova Santa Barbara, dove viene celebrata la messa, per poi far ritorno, sempre in compagnia dell’icona della santa, in paese. Nel cortile della chiesa, come nelle antiche cumbessias, si consuma un banchetto festoso in onore della santa.
Ed è così, che attraverso l’amore e la devozione per la martire straniera (Barbara, per l’appunto) si ricongiungono, almeno una volta l’anno, in nome della santa “barbara”, due antichi villaggi: Santu Sparau e Siponti.